22 aprile 2011

Non ho mai creduto molto nei sogni, nella loro interpretazione da bar intendo... 
se sogni la morte di qualcuno gli allunghi la vita, se sogni un divano vuol dire che hai bisogno di relax (ah sì? strano... non l'avrei mai detto..) e roba simile.
E' vero però che alcuni sono comuni, tipo sognare di trovarsi nudi in mezzo alla strada o correre senza muoversi... roba ansiogena insomma.
E poi ci sono i sogni ricorrenti, e come molti io ho il mio. Da un po'. Da un bel po'.
Siamo io e te in un campo di grano, con le balle di fieno intorno, le colline in lontananza e tutto il resto.
A volte ci sono anche dei papaveri, a volte margherite, a volte niente. Siamo in piedi uno di fronte all'altro a una decina di metri di distanza su una stradina di terra battuta, in mezzo al campo, fermi, immobili, tipo torneo medievale.
E' estate, forse tardo pomeriggio, i colori sono saturi, tipo vecchia polaroid, l'azzurro del cielo è quasi blu e il fieno ha venature d'arancio. Io ho un vestito leggero a fiori piccoli, gialli e bianchi, un paio di sandali di cuoio rosso, i capelli lunghi, le braccia incrociate dietro la schiena, le punte dei piedi rivolte verso l'interno.
Tu un paio di jeans, Converse bianche slacciate, una camicia a quadri verde e a righe rosse, sbottonata e con le maniche arrotolate al gomito. Le braccia lungo i fianchi.
Siamo fermi, uno di fronte all'altro. Io sorrido ma sono nervosa, mi sento come se dovessi fare qualcosa ma non so cosa e non riesco a farlo. Tu mi guardi con un viso lieve, sicuro ma sereno. Ogni tanto inarchi il sopracciglio, io sorrido e faccio una faccina buffa. 
Ma rimaniamo fermi in silenzio.
Sempre così.
Il sogno è sempre così.
Poi mi sveglio, o il sogno finisce o non ricordo.
Non cambia mai, a volte cambiano i colori, a volte si aggiunge qualcosa allo scenario.. come il cicaleggio o qualche nuvola a disturbare l'azzurro carico del cielo. 
Ma la sensazione è sempre la stessa. Pace, calma, tranquillità ma con una punta di indecisione.
E non succede niente.
Se non sguardi, sorrisi.
Il significato è chiaro. Non ci vuole lo psicoanalista.
Consapevoli delle nostre esistenze, vicini ma non abbastanza per parlare, toccarci, abbracciarci. Lontani ma non abbastanza per dimenticarci, per abbandonarci.
Consapevoli uno dell'esistenza dell'altro.
Ma non facciamo niente, per paura di rovinare l'incanto, per paura di spezzare il silenzio, per paura di aggiungere parole, per paura di non avere nulla da dire, per paura di quello che sarà dopo.
Perchè non vogliamo, non ora, non qui. Perchè non ne abbiamo voglia.
Perchè è faticoso.
Per troppi motivi.
Però ci sorridiamo a vicenda e ci capiamo senza dirci niente. 
In silenzio da un'eternità immutabile.
Non è poco..


Il problema è che l'altra notte, in un sonno tormentato e irrequieto qualcosa si è rotto.
Uno di fronte all'altra, con i campi di grano, il cielo azzurro, con il vestito a fiori e i tuoi jeans sdruciti, insieme abbiamo camminato uno verso l'altro. Insieme, prima un piede e poi un altro per incontrarci a metà strada.
Non ci è voluto molto.
E siamo stati così, ad ascoltare il nostro respiro vicino.
In silenzio ma vicini.
E' stato più facile del previsto.
Ho alzato appena la testa all'insù e quasi ti sfioravo la bocca.


Gli argini sono crollati, il ponte levatoio si è abbassato.
Ci rivedremo una di queste notti. 
E magari parleremo di tutto questo tempo, troppo, in cui siamo stati sentinelle da lontano uno dell'altro.



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