29 luglio 2010

temporale
serendipity
panino di tranquillità
voce che non si sente perchè piove troppo forte

28 luglio 2010

E' una congiura maledetta. Maledetta.
Perchè stamattina c'era  Paolo, 6 anni, che è venuto mesi fa in biblioteca con la sua classe. 
C'era Paolo a cui piaceva Alice, capelli neri, occhi profondi, ma non sapeva come dirglielo.
Paolo era timido perchè Alice era bella.
E quando chiedo a Paolo come sta Alice lui mi sorride e basta. 
Di un sorriso "da grandi" e non saprei se malinconico. 
O forse sono solo i miei occhi un po' malinconici riflessi nei suoi di giovane seienne.
Ma proprio stamattina Paolo doveva venire? Ma perchè non è al mare?
Perchè mi ha guardato con quel faccino?
Ora vado su e tiro un urlo.
Non avevo voglia di fare le valige. 
Rimettere tutto dentro un'altra volta. 
Ripiegare speranze, sogni, abbracci forti e sguardi carichi di...
Ecco no, non ero pronta. 
Ma non trovare soluzioni alternative ti porta a ricercare la valigia nell'armadio, riempirla, chiuderla e metterla da una parte.


E comunque il suono delle mie parole è azzurro [anche se forse è tondo].
citazione: chiudere è sempre strano. non sai mai se hai dimenticato qualcosa dentro.

27 luglio 2010

quello che dico è giallo e tondo

Ci sarà un momento [basterebbe trovare un quarto d'ora di tempo in cui sto ferma, anzi CALMA come suggerisce la riflessiva amica A. "Non ferma, calma!"] in cui potrò scrivere due righe su questi ultimi giorni dove sto vivendo con "la tragica comicità di Bridget Jones" come suggerisce l'amica B.
Per il momento dopo una mattinata a cercare libri per il mio nuovo progetto in biblioteca mi limito a segnalare due nuove graphic novel trovate in libreria:
"Quella notte alla Diaz. Una cronaca del G8 a Genova" di Christian Mirra, Guanda
"Cattivi Soggetti. Il noir italiano a fumetti" di Colaprico, Boosta, Baldini, Wu Ming 4, Macchiavelli, BUR











P.S. La cosa che mi piace di più del mio nuovo progetto è indubbiamente la tua capacità di "rendere in colore la mia voce". Ti dico cosa vorrei, cosa mi aspetto, cosa immagino e tu.. ne fai forma e colore. (e quello che dico è giallo e tondo)

23 luglio 2010

L'ORGOGLIO 
CI FOTTE

20 luglio 2010

C'E' 
EVIDENTEMENTE 
QUALCOSA CHE NON TORNA

19 luglio 2010

Boys dont' cry



Niente di più difficile.
Fare quello che avresti creduto di non voler fare mai.
Fare quello che non vuoi fare. 
[fare fare fare ma ferma non ci stai mai?]
Fare quello che non vuoi in nome di qualcosa che da dentro lo reclama.
[Cosa ? Chi? Dove?] 
ma c'è?
[sicuri?]
IN NOME DI COSA???
Niente di più difficile fare cio' che non vuoi. 
IO NON VOGLIO.
[batto i piedi in terra come bambine viziate, 
guardo in alto cercando un orizzonte, un appiglio]
Non avrei mai voluto.
Vorrei non averlo fatto mai.

MI VIENE DA URLARE PER QUESTA INGIUSTIZIA.
Chi decide cosa è giusto e cosa no?
Chi decide qual'è il tempo che ci siamo dati?
Chi decide??
Chi?
Ci vuole volontà. Io ho volontà. Io ce l'ho ancora.
Sempre avuta, inattaccabile, inesorabile.
Con forza la rivendico.
[Ma sbatte ripetutamete come risacca sui sassi.]
[Urla in una eco silenziosa.]
 E POI... SOLO IL SILENZIO...
E POI.. SOLO L'AMORE E' QUELLO CHE CONTA...
Me lo avevano detto che era difficile. 
Mai avrei creduto così.

[Misjudged your limit  
Pushed you too far 
 Took you for granted  
I thought that you 
needed me more]
La tua bella

16 luglio 2010

Diario minimo da un altro tempo,
ma che non è detto non sia ancora qui, annidato nel tempo presente, pronto a balzar fuori 
di Susanna Ronconi


Le Nuove di Torino, tra gli anni '70 e gli '80 
Il sotterraneo me lo ricordo, c'ero scesa con Liviana e con suor Angela. C'erano vecchi bauli da svuotare, abiti da scena per recite di detenute dei decenni precedenti, prima della riforma. Abiti donati da signore della Torino bene, paillette, seta, frange. Abiti indossati da chissà quali donne: chi c'era prima di noi e prima delle tossiche e prima delle rapinatrici, libere donne degli anni settanta? C'erano le donne semilibere, qui, fino a qualche anno fa, dice suor Angela. Che angoscia, sussurro io. Bello schifo, alla faccia della riforma, dice Liviana. Le celle sono sotto il livello del terreno, una grata piccola e oscurata da polvere, terra e ragnatele fa intravedere il ciglio del cortile di cemento. Un ottocentesco soffitto a volte percorre il lungo corridoio dove si affacciano porte di legno grigio con chiavistelli spropositatamente grandi, e spioncini piccoli. Ovunque buio e umido. Un filo di luce a mezzogiorno, e scalpiccio di pantegane, specie d'estate. Del sotterraneo, me ne aveva parlato Sara, del suo letto di contenzione alle celle delle Nuove, nell'anno della rivolta, il '77. Del sorriso del maresciallo, dopo la lotta e le urla e il rifiuto di entrare in cella, nel girare le bende ruvide attorno ai polsi e fissarle al pancaccio. Due giorni e due notti. Lame di sole obliquo e buio e topi e mosche. E le voci delle altre, a chiamare a salutare e fischiare per non farla sentire sola. E le urla delle guardie a farle tacere.  
Mani legate e corpi esposti al potere totale di un altro e buio intorno pieno di rumori da decifrare senza poter dormire e scalpiccio di topi o di anfibi militari che si avvicinano (perché vengono qui? per fare cosa? cosa accadrà, adesso?)

Santa Virdiana - Firenze - Isolamento - 1982
Voci di donne, ora, stemperano la tensione accumulata in caserma tra rumore di passi, porte aperte di scatto, uomini a cerchio sempre attorno, lo sguardo fisso sul mio viso. Il carcere mi accoglie di nuovo nel suo grembo di matrigna, mi nutre di cibo in scodelle di acciaio, mi prepara il letto con lenzuola ruvide, di quelle che durano una vita. Il suono femminile tenace delle voci, giù in cortile, e la femminile perversità di accudire un corpo chiuso, mi danno una sorda tranquillità.
     Le voci delle compagne, in cortile, si fanno più eccitate, rimbalzano sui muri alti del vecchio convento, passano le prime sbarre, e la rete fitta, e le seconde sbarre della piccola finestra. Le riconosco, ad ognuna il suo volto. Alcune mi emozionano. Il mio nome e poi "fuori dall'isolamento", urlato, scandito, cantato. Sensazione calda, sono accudita, ora posso anche piangere un po'. Quasi mi assopisco, vedo la luce trascolorare verso un riflesso dorato, non ho l'orologio, intuisco un pomeriggio d'autunno che si consuma, là fuori. Le donne, nel cortile, non scandiscono più il mio nome né gli slogan per avermi con loro. Percepisco una contrattazione, le loro voci, acute e sovrapposte, si alternano ad una voce, singolare e maschile. Le strisce di sole sul muro, ormai rosate, mi dicono che il pomeriggio volge alla fine. Dovrebbero essere chiuse in cella già da ore. Si rifiutano di rientrare, contrattano ancora. Ho paura di sentire anfibi militari avanzare rabbiosi sul cemento del cortile, mi sento impotente. Mi sento desiderata, anche: impotente e intenerita.

Voghera - Massima Sicurezza - 1983
Le divise informi di stoffa ruvida con stampigliato sulla schiena "Trani - 1944" (ma eravamo belle lo stesso, bastardi, Dio se eravamo belle). E quando mettevano brutta musica a tutto volume sparata dagli altoparlanti in tutti i corridoi per impedirci di comunicare tra noi, noi cantavamo più forte, fino a gonfiare le vene del collo. E quando, al momento dell'arrivo, ci mettevano nude in fila e ci facevano fare sei flessioni e poi ci cacciavano a forza sotto le docce calde, per vedere se la vagina, rilassata dal calore, lasciava cadere esplosivi, messaggi cifrati, documenti politici, lettere d'amore clandestine, cacciavamo le lacrime in gola e cercavamo i nostri sguardi più sprezzanti e, perfino, qualche scintillio di ironia. E quando, rivestite delle divise naziste, e calze color militare che scendevano al polpaccio ad ogni passo e scarpe di cartone, incalzate dal fiato sul collo dello sbirro che dava il ritmo dell'apertura dell'infinita teoria dei cancelli blindati ripetendo "muoviti puttana". Sì, anche allora eravamo belle, bastardi, Dio se eravamo belle.

Giudecca - Venezia - Isolamento 1988 
Il carcere della Giudecca, con il grande portone, mi ingoia insieme alla scorta. Dovrò odiare questo luogo, anche questo luogo: me ne dispiace, è la mia città. Non è così che avrei voluto tornare, non in catene. Non si può stare chiusi, a odiare un luogo che si ama, per cui si muore di nostalgia. Ogni carcere è migliore di questo: il più buio, il più umido, il più duro. Ma qui, resistere alla struggente luce della sera, e alle campane in lontananza, e al dialetto dolce parlato dai carcerieri, e alla voce dei gabbiani. Qui la prigionia è insostenibile.
Voci e suoni domestici, la lingua cantilenante, la lingua di mia madre. A sentire sardo e napoletano, almeno, potevo proteggermi con una estraneità; qui, invece, sono avviluppata dalla perversione della familiarità. Tutto qui mi rende inquieta: pochi cancelli, molte suore, la guardia della matricola con le pantofole friulane di velluto e gli occhi chiari, nessuno grida, pavimenti di legno antico. Eppure, i corpi sono chiusi, qui come altrove. È un penale, il carcere del tempo definitivo. Provo, per tutta questa dolcezza, un fremito di ribrezzo e, allo stesso tempo, di fascinazione. Il carcere tutto militare e maschile e duro da cui vengo mi tranquillizza e al contempo mi spaventa, visto da qui. Cosa e chi sto diventando, se addirittura lo rimpiango? Perché sono più salda sulle gambe lì che qui? Le donne qui mangiano insieme, non nelle loro celle, ma in una sala comune. C'è aria di refettorio, di convitto. Ma io ho una cella per me, non posso parlare con nessuna. Sono contenta di stare da sola. Voglio ripensare a tutto il luccicore del mare, allo Stucky che mi ha accolta. Voglio morire di nostalgia, piangere, finalmente non vista. Posso farlo: la cella è molto grande, potrebbe ospitare sei donne, anche di più, con i letti a castello. C'è un angolo, vicino al cesso, che rimane nascosto allo spioncino, fallimento della paranoia del panopticon. Se mi metto lì, posso piangere e pensare non vista. Da quanto non ho il dono dell'invisibilità? Si può fare, qui: sedia e tavolo e letto non sono imbullonati al pavimento, tutto si muove e si sposta, come in una stanza vera. La finestra ha sbarre e rete, lascia intravedere poco del mondo. Però, schiacciando il viso sulle sbarre, a destra, lo sguardo - forzando gli occhi fino a far male - arriva ad una cupola chiara, a uno scorcio di tetti, e proprio vicino a me, è appollaiata una coppia di colombi. Sono stanca. Prendo la sedia che mi rende invisibile e apro il mio libro.

pubblicata sul sito www.ristretti.it


15 luglio 2010

Felicita è:
lavorare in sezione bambini e leggere questo libro qui









D. che mi porta un gelato e lo mangiamo in terrazza



11 luglio 2010

Sono d'altronde direzioni diverse. Ti prego ascoltami, ascoltami bene

"SOFFOCO.
UNA MORSA VIOLENTA ALLA GOLA.
UNA CANZONE IN TESTA CHE RITORNA.
UNA TELEFONATA INASPETTATA.
UN SORRISO STROZZATO.
UNA PERPLESSITA' IN TESTA.
UNA DOMANDA NON FATTA."

Scrivevo tutto questo. 
La memoria che torna, il vuoto che resta.



NON DORMO.
LA SENSAZIONE DI GRIDARE IN SILENZIO.
INCOMUNICABILE.
INSPIEGABILE."
Erano semplicemente direzioni diverse.
Sono d'altronde direzioni diverse.


In questa sera di afa mi manca la mia grande famiglia.

9 luglio 2010

"Lettera di un’aquilana: mi ha chiamato Sky" di Reset Radio

Una abruzzese morosa

Ieri mi ha telefonato l’impiegata di una società di recupero crediti, per conto di Sky. Mi dice che risulto morosa dal mese di settembre del 2009. Mi chiede come mai. Le dico che dal 4 aprile dello scorso anno ho lasciato la mia casa e non vi ho più fatto ritorno, causa terremoto. Il decoder sky giace schiacciato sotto il peso di una parete crollata.
Ammutolisce.
Quindi si scusa e mi dice che farà presente quanto le ho detto a chi di dovere, poi, premurosa, mi chiede se ora, dopo un anno, è tutto a posto. Mi dice di amare la mia città, ha avuto la fortuna di visitarla un  paio di anni fa.  Ne è rimasta affascinata. Ricorda in particolare una scalinata in selci che scendeva dal Duomo verso la basilica di Collemaggio, mi sale il groppo alla gola. Le dico che abitavo proprio lì.
Lei ammutolisce di nuovo.
Poi mi invita a raccontarle cosa è la mia città oggi. Ed io lo faccio.
Le racconto del centro militarizzato.
Le racconto che non posso andare a casa mia quando voglio.
Le racconto che, però, i ladri ci vanno indisturbati.
Le racconto dei palazzi lasciati lì a morire.
Le racconto dei soldi che non ci sono, per ricostruire.
E che non ci sono neanche per aiutare noi a sopravvivere.
Le racconto che, dal primo luglio, torneremo a pagare le tasse ed i contributi, anche se non lavoriamo.
Le racconto che pagheremo l’i.c.i. ed i mutui sulle case distrutte e ripartiranno regolarmente i pagamenti dei prestiti.
Anche per chi non ha più nulla.
Che, a luglio, un terremotato con uno stipendio lordo di 2.000 euro vedrà in busta paga 734 euro di retribuzione netta. Che non solo torneremo a pagare le tasse, ma restituiremo subito tutte quelle non pagate dal 6 aprile.
Che lo stato non versa ai cittadini senza casa, che si gestiscono da soli, ben ventisettemila, neanche quel piccolo contributo di 200 euro  mensili che dovrebbe aiutarli a pagare un affitto.
Che i prezzi degli affitti sono triplicati. Senza nessun controllo.
Che io pago, in un paesino di cinquecento anime, quanto Bertolaso pagava per un appartamento in via Giulia, a Roma.
La sento respirare pesantemente. Le parlo dei nuovi quartieri costruiti a prezzi di residenze di lusso.
Le racconto la vita delle persone che abitano lì. Come in alveari senz’anima. Senza neanche un giornalaio o un bar.
Le racconto degli anziani che sono stati sradicati dalla loro terra lontani chilometri e chilometri. Le racconto dei professionisti che sono andati via. Delle iscrizioni alle scuole superiori in netto calo.
Le racconto di una città che muore e lei mi risponde, con la voce che le trema.
“Non è possibile che non si sappia niente di tutto questo. Non potete restare così. Chiamate i giornalisti televisivi. Dovete dirglielo, chiamate la stampa. Devono scriverlo”.



PERCHE' PARLARE DELL'AQUILA TI TOGLIE IL FIATO, TI FA SALIRE AGLI OCCHI LE LACRIME E TI FA URLARE DI RABBIA.
IO NON SO SCRIVERE DELL'AQUILA, NON SO PARLARNE. 
HO VISTO TUTTO. IL CENTRO A PEZZI, LA ZONA ROSSA DI NOTTE, IL DUOMO MASSACRATO, LE CASE SFONDATE, MA NON SO COME RENDERNE L'IDEA. 
CI HO PROVATO:  "IO CI SONO STATA, HO VISTO, HO PARLATO CON LA GENTE, CON I RAGAZZI...LORO MI HANNO DETTO CHE..."
MA ENTRANO IN GIOCO TROPPE VARIABILI.
PERSONALI, INTIME E NON RIESCO. 
TRASCENDO NEL PATETISMO E INVECE DOVREI TRASCENDERE IN RABBIA.

8 luglio 2010

6 luglio, HJF

Direi che anche quest'estate 
ha avuto il suo grandioso concerto.
Il prossimo è  Thom,
a costo di andare sulla Luna per vederlo.

5 luglio 2010

Voglio ciò che mi spetta, 
lo voglio perché è mio... m' aspetta
Forma e sostanza C.S.I.
la peggior ingiustizia 
è fare parti uguali tra i disuguali