27 febbraio 2014

21 febbraio 2014

MAPPE

Andrej Belyj (Boris Nikolaevič Bugaev; Mosca 1880-1934),
Schema storiosofico. Cikis-Dziri, Georgia, 1927

Acquerello, inchiostro, matita su carta; cm 34,5 x 43,5. 
Mosca, Museo Statale A.S. Puškin, Casa museo Andrej Belyj, 
Nel 1927 Belyj soggiornò a Cikis-Dziri, in Georgia, sul mar Nero. In quell'ambiente "tropicale" lo scrittore riconosceva la terra del Vello d'oro, la regione dove nasceva il Mito. Il disegno, con riferimenti all'Atlantide e Lemuria, è collegato al suo trattato in fieri dedicato alla formazione della civiltà a partire dai suoi inizi remoti, secondo l'interpretazione che vedeva la fioritura della cultura russa come apice del processo: una concezione basata sulla visione antroposofica di Rudoplh Steiner.

 Ipotetica mappa di Lemuria sovrimpressa ai moderni continenti, da The Story of Atlantis and Lost Lemuria di William Scott-Elliot (1896, 1904)



Mappa immaginaria di Atlantide dal Mundus Subterraneus di Athanasius Kircher, pubblicato ad Amsterdam nel 1665 (la mappa è orientata con il Nord verso il basso).

20 febbraio 2014

Il miglior modo per trovarsi è perdersi...

19 febbraio 2014

Nonostante fosse inverno inoltrato l'aria era calda come quando la primavera si affaccia alla Terra.
Attendevo nella notte: muscoli tesi, volto contratto, pensieri accalcati.
"Ti aspetto, non preoccuparti. Muoviti, però vai piano."

Il nodo in gola del pianto che non usciva. 
Ancora 15 minuti che sembravano ore.
Glielo avrei detto subito, senza sconti. Quel dolore puro.
Dolore che in altre forme, in altri mondi possibili, avevamo condiviso in passato.
Gli gettai le braccia al collo appena lo vidi arrivare. Quelle braccia: l'unico luogo al mondo in cui era giusto essere in quel momento.
(La forma delle sue mani, la consistenza dei suoi occhi sorridenti l'unica casa della mia notte).

"Sono arrivato. Sono qui, te lo avevo detto che sarei arrivato. Eccomi."
"Sì, sei qui ma andiamo a casa."
"Che succede?"
"Andiamo a casa."

Nel buio della camera da letto sembrava che il tempo si fosse fermato, il tempo che non concedeva sollievo. I suoi occhi nei miei come mai prima d'ora.
Glielo dissi con voce tremante, incredula delle parole che mi stavano uscendo dalla gola. Un abbraccio soffocato.

Quando ci mettemmo sotto le coperte non riuscivo a trovare pace.
Le ciglia dei miei occhi battevano nel buio implorando un sonno che non arrivava. Nel silenzio capiva (aveva sempre capito tutto) che avevo bisogno di trovare il delicato equilibrio a cui segue il riposo, la pace, la calma. Ma da sola non riuscivo.
Nel buio iniziò a cullare le mie braccia, il mio viso,  la mia schiena.
"Addormentati così, non preoccuparti per me."

E così chiusi gli occhi, immersa in una stretta dolcissima.
La ninna nanna più bella da quando sono piccola.
La ninna nanna più bella che io ricordi.
L'amore più forte da tempo immutato.


18 febbraio 2014

Vaghiamo nel vuoto spaesati con l'incredulità degli innocenti.

Un dolore piccolo come un pugno nero.
Infido, subdolo, codardo.

16 febbraio 2014

Into My Arms



 




And I don't believe in the existence of angels?
But looking at you I wonder if that's true?
But if I did I would summon them together?
And ask them to watch over you?
To each burn a candle for you?
To make bright and clear your path?
And to walk, like Christ, in grace and love?
And guide you into my arms?

11 febbraio 2014

E la storia di questa canzone, ascoltata adesso per la prima volta, è già lunga...

...Never could learn to drink that blood
And call it wine,
Never could learn to hold you, love, 
And call you mine...

Mi manca casa.
Mi manca l'odore della piazza la sera.
Mi manca la spontaneità degli incontri.
Mi mancano i ricordi che ho in quei vicoli, nelle strade, nei parchi.
Mi manca la mia terra, la semplicità e la forza dei legami curati negli anni.
Mi mancano tutte le possibilità davanti ai miei occhi.
Mi manca che ogni giorno non sarà come il precedente, che niente è detto e scontato.
Mi manca il lato oscuro del cuore.

Mi manca casa. La mia casa.

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti. 
Cit.

« Al diavolo la realtà! Dateci un bel po’ di stradine serpeggianti e di casette dipinte di bianco, rosa e celeste; fateci essere tutti buoni consumatori, fateci avere un bel senso di Appartenenza e allevare i figli in un bagno di sentimentalismo ― papà è un grand’uomo perché guadagna quanto basta per campare, mamma è una gran donna perché è rimasta accanto a papà per tutti questi anni ― e se mai la buona vecchia realtà dovesse venire a galla e farci bu!, ci daremo un gran da fare per fingere che non sia accaduto affatto. »

Revolutionary Road